Armida Barelli e la Calabria

Di Armida Barelli, che sarà beatificata il prossimo 30 aprile, è stato detto tanto. Fra le donne straordinarie del ‘900, il cosiddetto secolo breve, Armida fu certamente la più grande. Per le sue intuizioni lungimiranti, le visioni anticipatrici dei tempi, le realizzazioni concrete ancora oggi valide. Io desidero ricordare il ruolo straordinario che ebbe nella costituzione della Gioventù Femminile di Azione Cattolica e soprattutto l’ambito di impegno dell’Azione Cattolica Femminile in Calabria, una regione lontana dai grandi flussi culturali, ai margini geografici, condizionata da forti ritardi socio-economici. Armida Barelli riuscì a toglierla dall’isolamento, a creare condizioni di parità con le altre regioni d’Italia, anzi direi di più, le assegnò una funzione di capofila in un progetto di acculturamento religioso, che fu anche progetto sociale, civile e politico. Mi riferisco ai corsi di cultura religiosa che Armida Barelli avviò in Calabria con un lungimirante programma di formazione, realizzato prima a Paola, in provincia di Cosenza, poi trapiantato anche in altre regioni. Fu un percorso formativo di straordinaria rilevanza che, partendo dalla dimensione religiosa, operò una rivoluzione di vita e di costume e cambiò la vita delle donne. L’azione Cattolica aiutò le donne della Calabria a diventare soggetti coscienti e liberi, avviandole a superare condizioni di passività.

Armida Barelli volle sperimentare i suoi corsi di formazione in Calabria a Paola, sul Tirreno, in quanto importante nodo ferroviario e punto di facile convergenza, in prossimità di Longobardi dove risiedeva la famiglia Miceli, che per opera delle due sorelle Alda ed Elisa e del fratello sacerdote Don Francesco era diventato laboratorio e fucina di idee e di progetti della cattolicità più avanzata del tempo. Alda aveva già avviato un percorso religioso serio e consapevole delle necessità dei tempi e diventerà poi personaggio di primo piano nel panorama religioso e civile, nazionale ed internazionale. Figura emblematica della classe dirigente cattolica femminile fu Presidente nazionale dell’Azione Cattolica, succedendo ad Armida Barelli, dirigente del Collegio Marianum di Milano, Presidente dell’Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità e anche Presidente Nazionale del CIF. Nel 1964 fu l’unica donna in Italia a partecipare al Concilio Ecumenico Vaticano II fra le ventitré donne consacrate di tutto il mondo chiamate dal Pontefice.

La sorella Elisa, dopo un periodo di volontariato e di assistenza a Roma nelle zone più degradate, fece ritorno a Longobardi, per aiutare quanti nel paese natio vivevano in condizioni di miseria e di arretratezza. Dedicò la sua vita alle categorie sociali più deboli. Utilizzò i beni di famiglia per accogliere bisognosi ed emarginati. Istituì secondo il modello creato dall’Azione Cattolica alcuni laboratori, dove si impartivano lezioni di religione e di catechismo e si insegnava ricamo e cucito. Dall’Azione Cattolica fece partire l’esperienza delle settimane campestri per raggiungere le popolazioni rurali lontane dai centri abitati e dalle Chiese. Per una settimana Elisa con le aderenti dell’Azione Cattolica ed un sacerdote si recavano nelle campagne del circondario, dove – ospitati da qualche famiglia particolarmente accogliente – celebravano Messe, avviavano corsi di cultura religiosa, creavano momenti ed occasioni per discussioni che ampliavano le conoscenze di quanti avevano poche occasioni di incontri e di scambi. Erano momenti di formazione religiosa e civile che facevano intravedere condizioni di vita diverse. In breve tempo l’adesione e la partecipazione delle giovani dell’Azione Cattolica crebbe tanto da spingere Elisa Miceli ad istituire l’ordine delle Catechiste Rurali che poi ebbe regolare approvazione del Vaticano. Ancora oggi le Catechiste Rurali operano secondo la visione della fondatrice praticando forme di aiuto e di assistenza.

Armida Barelli seguiva con attenzione e partecipazione il fervore di idee e di iniziative sorto attorno alle sorelle Miceli. Venne anche a Longobardi in occasione della premiazione ai corsi di cultura religiosa che l’Azione Cattolica svolgeva annualmente e che riscuotevano grande successo. Da questi contatti nacque in casa Miceli l’idea dei “corsi” di Paola, in seguito “l’Università di Paola”, il primo esperimento di formazione religiosa avviato in Calabria e poi sul modello calabrese praticato in tutta Italia. Pensati anche con la collaborazione di sacerdoti santi ed illuminati, di profonda cultura e animati da grande afflato umano furono momenti di acculturamento. Si svolgevano in una settimana e comprendevano tre giorni per esercizi spirituali, tre giorni di lezioni per dirigenti diocesani e parrocchiali in sedute separate, ed un corso di sei giorni per propagandiste. I corsi erano differenziati e non si era ammesse al corso più avanzato se non si superava il corso precedente. Si concludevano con un esame serio e rigoroso e la consegna del Crocefisso alle migliori che ricevevano l’incarico di propagandiste. Vi aderivano le diocesi della Calabria, della Basilicata e del Salernitano. La stessa Barelli partecipò a momenti organizzativi decisivi insieme con quei sacerdoti che poi tennero le lezioni. Ricordiamo fra tanti Don Francesco Mottola, ormai beato, e Antonio Lanza futuro vescovo di Reggio Calabria, persona particolarmente colta e di straordinaria apertura mentale e religiosa. Molte donne divennero poi personaggi di primo piano nel panorama religioso, culturale e politico come Vittoria Titomanlio, Gina Panaro, Evelina Cundari, Antonietta Tripepi. E molte che avevano frequentato i “corsi” di Paola si impegnarono poi attivamente in politica ponendosi dalla parte dei più deboli. Fra tante ricordiamo Dina Maione, assessore al comune di Paola agli inizi della vita democratica, Maria Mariotti poi candidata alla Costituente e personaggio di primo piano della religiosità calabrese per tutto il secolo. Maria Rimoldi concluse il primo corso del 1933 trasmettendo la sua passione e il suo fervore religioso. Anche Armida Barelli e Teresa Pallavicino parteciparono alle lezioni considerando l’evento importante e significativo. In un primo momento fu tanto faticoso superare le resistenze delle famiglie che malvolentieri consentivano alle figlie di restare per più giorni fuori casa, ma poi fu tanta l’affluenza che spesso le Suore dell’Istituto le ospitavano anche in altre strutture.

Nella visione di Amida Barelli la Gioventù Femminile di Azione Cattolica opportunamente formata avrebbe dovuto rafforzare i valori cristiani che considerava base del vivere civile. Nel momento in cui aveva pensato di costituire la Gioventù Femminile di Azione Cattolica aveva immaginato di realizzare un vasto apparato organizzativo che abbracciasse tutte le categorie sociali e che si estendesse in tutte le regioni. Una rete capillare formata da propagandiste che, girando da una regione all’altra, avrebbero contattato le giovani più sensibili e più aperte ai problemi religiosi e sociali per poi tenere gli opportuni contatti col centro e fondare nuovi circoli dove avviare la formazione. Per le giovani donne iniziò un movimento di rieducazione che non aveva avuto precedenti nella storia. Le ragazze, quelle soffocate dalla vita di provincia, videro schiudersi prospettive nuove, quelle che già lavoravano si posero nuovi problemi e cominciarono a configurarsi condizioni di vita migliori. Una classe politica femminile prese avvio da quella stagione felice. Molte si impegnarono nell’associazionismo femminile da cui poi furono avviate tante proposte di leggi a favore della condizione femminile felicemente realizzate.

Vincenza Matta Rocca
già delegata dell’Università Cattolica per la diocesi di Cosenza

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